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Rosario Pinto

Interventi Critici

 

 

 

Prof. Lello ZITO
Ricerche nel Realismo

 

Nel corso del '900 l'approccio "realistico" alla pittura' ha dovuto scontrarsi con una ricerca figurativa che intendeva dismettere radicalmente il riferimento alle cose, dirigendosi attraverso varie vie o al rifiuto completo della rappresentazione oggettiva (Astrattismo, Informale) o alla deformazione della realtà (Cubismo, Surrealismo).

 

Né è mancata una prospettiva che ha inteso premiare l'immanenza progettuale nel corpo stesso della creazione artistica individuando - dalle avanguardie del primo Novecento, fino alla temperie concettuale - il senso ed il fine dell'arte nel coinvolgimento del fruitore chiamato sempre direttamente in causa come soggetto tutt'altro che passivo. Curiosamente, proprio all'interno del vastissimo arcipelago che abbraccia in un unico percorso logico - come forse occorrerà, prima o poi, tentare di dimostrare - cose apparentemente distanti ed incommensurabili (da Dada al Minimalismo, per intenderci, o dal Futurismo al Situazionismo ecc.) ma riunificabili sotto il comune vessillo d'un Concettualismo inteso come referente categoriale e non come mera definizione stilistica, potremo ritrovare le ragioni fondanti d'un approccio figurativo che non vada ad appiattirsi sui comodi sentieri d'una ennesima variazione sul tema del Verismo, ma che intenda qualificarsi come ulteriore articolazione di quella azione concettuale che, in sostanza, come abbiamo già detto, fa dell'intervento progettuale non un momento aurorale ed anticipato rispetto alla materiale esecuzione dell'oggetto artistico, ma il fattore di vibrante giustificazione, nel corso del tempo, del contenuto artistico dell'oggetto e della sua stessa datità.

 

Per tali motivi ci è parso utile argomentare già in altri contesti di ricostruzione storico-critica del tema del realismo che esiste un discrimine decisivo e nettissimo tra una figurazione ancora improntata al rapporto con la realtà nel segno di una capacità restituiva delle sue articolazioni ed una figurazione che intenda, invece, assumere il dato progettuale dell'opera come punto di incernieramento del suo svolgimento formale e non come dimensione meramente inventiva di essa' . Può essere questa, insomma, la linea di confine che separa, ad esempio, le pur bellissime cose di "Novecento" estrema scansione della restituzione artistica della realtà, e l'intervento di uno Hopper che si giustifica e definisce lungo un asse di progetto concettuale. La pittura di Lello Zito sta da questa parte. Ma occorre ragionare e chiarire il senso storico del suo percorso creativo per cercare di comprendere le tappe di un'evoluzione che si segnala come un processo costantemente incrementativo, assolutamente alieno da slittamenti e suggestioni localistiche, consapevolmente iscritto in una temperie più vasta e di dilatato respiro. Gli anni della formazione artistica di Lello Zito sono quelli del decennio dei sessanta, quelli in cui, variamente entra in contatto con C. Adamo e, soprattutto, con M. Colucci che lo introduce alla logica del "gesto".

 

Dopo aver attraversato il decennio dei settanta in sperimentazioni di vario tipo, che gli consentono l'acquisizione di una grande padronanza tecnica, la tappa successiva di Zito sarà, nei primi anni ottanta, Sorrento, cittadina ove si trasferisce quando gli viene assegnata nel locale Istituto d'Arte la cattedra di Disegno dal vero. Zito proveniva, comunque, da un'impegnativa esperienza d'insegnamento condotta presso l'Istituto d'Arte di San Lucio, dove, nel 1967 aveva conosciuto Bruno Donzelli, personalità d'artista con cui il Nostro instaura un intenso rapporto di amicizia. In questa fase storica, la pittura di Zito non ha ancora assunto l'abbrivio iperrealistico che poi diverrà la sua cifra identitaria.
Era, piuttosto, nel corso degli anni sessanta, una pittura d'astrazione figurativa nutrita d'un affiato vagamente surreale che si fa via-via più pronunciato passando dalle prime compitazioni più geometrizzanti (metà degli anni sessanta) a quelle di morbidi intrecci tubolari. Di queste sue cose Zito, oggi, alla distanza del tempo, dice: ....mi piaceva all'epoca [siamo nel 1966] comporre con molto rigore forme varie con riferimenti definiti e non; il tutto doveva trovare una sua rigorosa logica in questo astrattismo formale.


Seguirono [altre opere caratterizzate dalla rappresentazione di] spazi rigidi che ... avevano dei fori di uscita e di entrata nei quali o dai quali fuoriuscivano lunghe forme tubolari. Il tutto eseguito con una tecnica che rasentava la follia: milioni di puntini colorati eseguiti con pennino e inchiostro. Queste notazioni tecniche e di autoriconoscimento dell'artista appaiono particolarmente preziose nella loro scarna essenzialità e valgono ad evidenziare in punto di analisi critica il momento aurorale e germinativo di quelle modalità esecutive di cui darà prova matura, in seguito, il Nostro, in piena fase iperrealistica, nella composizione, ad esempio degli splendidi muri sui quali lascia piovere fiotti di luce che stampano le ombre puntuali di balaustre ed inferriate. Da questa fase astratto/surreale, Zito perviene ad un momento di successiva evoluzione creativa: quello in cui egli stesso afferma di operare delle"zoomate sul corpo umano". L'artista sceglie un partico lare del corpo umano, ne offre un taglio prospettico ravvicinato ed insolito e ne rivela i tratti di insondabile ambiguità figurativa evidenziando "... alcune cose, sottraendole dal contesto rendendo enigmatico il tutto" In alcuni dipinti, infatti, di suggestiva intensità espressiva, forme del corpo umano femminile offrono ambigui spunti di riconoscimento dei particolari anatomici effigiati, pur essendo governate da una logica figurativa di stringente fedeltà al dato oggettivo. Con questi dipinti, Lello Zito è ormai approdato definitivamente al l ' iperrealismo.

 

Siamo alle soglie degli anni ottanta e l'artista è maturo per delibare compiutamente questa nuova esperienza, riuscendo a dare ad essa un respiro profondo e dilatato non solo attraverso l'impegno personale che è sempre scrupoloso e pregnante, ma anche attraverso una serie di confronti creativi che gli consentono uno specchiamento critico indubbiamente fertile e producente. Nel 1980, infatti, nel contesto dell'Expo-Arte di Bari, ove espone, Zito conosce Gianna Rossi Maggini, gallerista attenta al tema delle più aggiornate sensibilità realistiche, che si interessa alla sua opera.11. Per questa via il Nostro coltiva l'opportunità di accostamento alla pittura di Giuseppe Banchieri col quale entra direttamente in contatto, rimanendone "profondamente segnato", come Zito stesso ama confessare'. E' un momento fecondissimo di incontri: conosce il gruppo milanese in cui era maturata l'esperienza d'una ricerca orientata al "Realismo esistenziale" ed entra in contatto con l'opera, ad esempio, di Bepi Romagnoli, di Gianfranco Ferroni, di Giuseppe Guerreschi, di Mino Ceretti, di Tino Vaglieri. Attraverso la Rossi Maggini, il Nostro incontra anche Mattia Moreni col quale, visitato nel suo studio, stabilisce un fertilissimo incontro intellettuale. E giova qui richiamare anche il rapporto che Zito istituisce con Franco Mulas che trattiene suo ospite a Sorrento durante un soggiorno in Costiera dell'artista romano nel luglio 1980.

 

Riferimenti e contesti di ampia e dilatata proiezione quindi, costituiscono l'alimento intellettuale della creatività di Zito, che non manca di osservare anche l'ambiente campano, ma con un occhio critico che lo tiene al riparo dal rischio di stringenti contaminazioni, consentendogli di selezionare i suoi collegamenti artistici. E' un solitario, insomma, uno sperimentatore che non va alla ricerca del clamore, ma dell'essenzialità meditativa, simile, per certi aspetti esistenziali, ad un altro protagonista di queste temperie del rinnovamento realista meridionale, Raffaele Canoro, che Zito ben conosce per averne avuto frequentazione durante il periodo della formazione. Da Hopper a Warhol, la tematica del realismo americano traccia una lunga parabola e se nel promotore della Factory americana c'è l'irrinunciato rapporto figurativo con le merci da raffigurare nel segno delle dinamiche "pop", in gruppi europei, come "Equipo Cronica", ad esempio, è più marcato, invece il segno della dimensione sociale'. E' così che in Italia, dalla fine degli anni sessanta comincia a maturare questo nuovo approccio ad un realismo che sa coniugare in straordinaria sintesi i vari elementi ormai ben in vista sul tappeto: dal realismo "pop" a quello che sempre meglio si preciserà come "Realismo sociale".

 

Con queste cose che si svolgono durante il decennio degli anni settanta, col "Movimento dell'Arte nel Sociale", Lello Zito non ha collegamenti organici, giacche l'artista continua a perseguire una ricerca solitaria nutrita da un bisogno di rastremazione incalzante delle forme che approda addirittura, negli anni ottanta, alla individuazione piena del monocromo come snodo estremo per la massima valorizzazione dei contenuti concettuali che ora appaiono immanenti nell'opera e depurati di qualsiasi accenno di slittamenti o di debolezze simbolistiche. Significativamente, a commento della produzione svolta nel periodo dal 1978 al 1980, Giorgio Seveso annotava: "Insomma, Zito lavora alla confluenza di stimoli e riferimenti diversi, in un punto di incandescenza da cui le immagini che egli costruisce sgorgano tese e pregnanti, apparentemente consuete e neutrali e, invece, così cariche di sentimento, di giudizio: così dense di appassionata, stimolante partecipazione esistenziale"'' . Negli anni seguenti, i primi del decennio degli ottanta, le immagini di Zito, senza perdere nulla di ciò che Seveso qualificava con gli aggettivi di "Tese", "pregnanti", "consuete" e, soprattutto, "neutrali", acquistano una più accentuata carica intimistica, che si profila in opere come Vestizione del 1983, che già anticipa l'ulteriore variazione sul versante dell'impreziosimento tecnico delle compiture cromatiche che si offrirà nelle opere in cui Salvatore De Rosa giustamente scorge il dato di una "... modulazione che sorregge un mondo lirico dove l'artista ha saputo sublimare i suoi sentimenti, dove le forme perdono il loro spessore per divenire entusiasmo spirituale"' .

 

A tal punto della sua ricerca il patrimonio culturale di Zito e il portato della sua esperienza maturata si riflettono in una produzione che in modo articolato e complesso si distende durante tutto l'arco degli anni novanta, periodo in cui non basta a depotenziare la carica espressiva qualche rallentamento della attività cui il Nostro è costretto da cause esterne. Segnaleremo, comunque,di tale periodo, la partecipazione di Zito a Torino, nel 1990, alla realizzazione d'una grande opera collettiva,una tela dipinta da trenta artisti di tutti i continenti ispirata al tema del rifiuto (della violenza negli stadi"'; ricorderemo ancora la grande tela eseguita nel 1995 a commemorazione dei quarant'anni del film Pane, amore e.... di Dino Risi e ricorderemo infine, allo scadere del decennio dei novanta, nel 2000, la partecipazione di Lello Zito a "Il Realismo nella produzione artistica in Campania nel secondo cinquantennio del' 900", La temperie culturale cui appartiene l'arte di Lello Zito, complessivamente considerata nel suo sviluppo lungo quattro decenni, è certamente quella iperrealistica, con tutti i "distinguo" in senso esclusivo ed inclusivo che tale espressione conserva". Il Forgione, ad esempio, nell'osservare che "Zito descrive la realtà così com'è senza volerla ad ogni costo interpretare" non manca di sottolineare altresì che "è proprio questo suo apparente intento descrittivo a fare in modo che a composizione ultimata si respiri un'atmosfera insolitamente sospesa, surreale, che aliena da sé le cose in essa contenute, rendendogli una vita autonoma" Il Nostro, in verità, sa guadagnare una sua cifra peculiare al rapporto figurativo con la realtà, accentuandone, nella sapienza restituiva dell'essenzialità dei tratti, il significato di rappresentazione "neutrale" e non deterministicamente "oggettiva" dell'esistente.

 

La differenza, su cui occorre insistere tra "neutralità" ed "oggettività" è importante, poiché costituisce il punto di snodo in cui si comprende il contributo originale del Nostro al mondo della figurazione. L'ottenimento dell'"oggettività" è per Zito un préalable: un mezzo, non un fine: in lui, infatti, non c'è verismo, come non c'è adesione ad un progetto meramente positivistico o post-coubertiano' . C'è, piuttosto, "neutralità" conquistata attraverso una adesione talmente forte alla realtà delle cose da renderle disomologabili dai contesti d'appartenenza fino a rendersi esse stesse archetipi formali e, quindi, realtà figurali puramente "neutrali", posizioni concettuali e non mere estrapolazioni simboliche del reale.

Il merito, a nostro giudizio, grande di Zito è nell'aver saputo portare a compimento tutto ciò, confermando, sul campo ed a suo modo, l'esistenza di quel discrimine che esiste nella produzione di stampo iperrealistico tra le due sponde dell'Atlantico che, estremamente semplificando, definiremo coi termini rispettivamente di "iperrealismo merceologico" in America e di "iperrealismo umanistico in Europa".
E Zito è tutto europeo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Rosario Pinto è nato a Napoli nel 1950.


È autore di numerosi volumi tra cui si segnalano: Tappe dell'arte napoletana, Napoli 1994; Arte Napoletana nei secoli, Napoli 1995; Storia della pittura napoletana, Napoli 1997; La pittura nel salernitano attraverso i secoli, Napoli 1997; La pittura atellana, Sant'Arpino 1998; La pittura napoletana, 1998; Pittura al femminile in Campania nel secondo cinquantennio del '900, Nocera Inf. 1999; Al di là della superficie, Roccarainola 1999; 11 Realismo nella produzione artistica in Campania nel secondo cinquantennio del '900. Nocera Inf. 2000; Arte del secondo novecento in Campania, Orta di Atella 2001; La Scultura napoletana del novecento, Napoli 2001; La Pittura napoletana del novecento, Napoli 2002.
Ha pubblicato numerosi saggi su aspetti particolari della pittura meridionale (pittura in territorio aurunco) e su personalità di cui ha studiato i profili (Giuseppe Marullo, sec. XVII; Domenico Antonio Vaccaro e Angelo Mozzillo, sec. XVIII; Vincenzo De Mita, Tommaso De Vivo e Giuseppe Costantini, sec. XIX; Vincenzo La Bella sec. XIX-XX). Si è occupato di iconografia, pubblicando numerosi saggi di pittura "al femminile" con studi sulle pittrici napoletane tra '500 e '700, su Sofonisba Anguissola, Artemisia Gentileschi ecc.
Cura la restituzione storiografica della stagione dell'"Arte nel sociale" degli anni '70 con la pubblicazione di numerosi saggi monografici. (Il movimento dell'arte nel sociale, Orta di Atella 2000) e di altri periodi dell'arte napoletana del ventesimo secolo (Informale e dintorni in Campania, Sant'Arpino 2001; Arte Madi, Sant'Arpino 2001).
Ha ordinato numerose rassegne d'arte contemporanea curandone i cataloghi.
Docente di storia della pittura napoletana, membro dell'organismo nazionale dei conservatori dei beni culturali, responsabile del coordinamento scientifico e museografico del "Museo Emblema" di Terzigno.
Dirige la Pinacoteca Comunale "Massimo Stanzione" di Sant' Arpino.

 

 

 

 

 

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