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 Giorgio Seveso

Interventi Critici

 

                                   

                                                                      

 

 

Ciò che mi ha subito colpito di fronte al lavoro di ZITO, prima di ogni altra considerazione, è l'impiego singolare della luce,dell'elemento luminoso, come tessuto portante della costruzione e della impaginazione dell'immagine. Si tratta infatti di una luce onnipresente,che tiene tra loro queste tele come un unico mastice, come un bianco denominatore comune. Una luce candida ed accecante, che brucia via ogni possibile dettaglio dell'ambiente o degli sfondi in cui i personaggi delle opere si muovono ed agiscono, come incastonandoli e scolpendoli nell'avorio di un tempo senza luogo definito, senza riferimenti oggettivi. Non è infatti, questa di Zito, una luce fisica: una sensibile somma cromatica di toni e sfumature. Né del resto si può dire che essa in qualche modo appartenga alla natura, pure se nella sua definizione, le atmosfere incendiate di sole della terra in cui vive il giovane autore, con il loro affocato sbiadire ogni ombra e contrasto, con il loro abbacinante e bruciante appiattimento di ogni risoluzione ottica, c'entrano pure per qualcosa. In realtà si tratta più di un elemento espressivo e poetico che di un referente di tipo naturalistico. C'è infatti qualcosa di metafisico in lei; una "astrazione" che la rende parte integrante della definizione psicologica dell'opera e che, dunque, giunge a connotarla e stigmatizzarla nell'ambito mentale appropriato. È, insomma, una luce-simbolo, un emblema che introduce correttamente alla lettura contestuale delle immagini, esaltandone tutta la sua essenzialità. E queste immagini sono, appunto, essenziali. Affilate, icastiche nella loro presenza figurale, esse parlano un linguaggio semplice e complesso ad un tempo. Che cosa vogliono dirci questi personaggi solitari, avviluppati nel loro silenzio duro come una pietra di tufo candido, privi, come sono, di ogni possibile eco, di ogni improbabile trasalimento? I loro gesti, i loro sguardi, i loro atteggiamenti sono colti e congelati dal nitido sigillo dell'autore in maniera impietosa. Le loro solitudini, le loro disperate assenze di ogni reale palpito di vita, di autentica comunicazione interpersonale, sono evidenti, palpabili. Zito insegue dunque in questi volti e in questi atteggiamenti la traccia, il filo conduttore di un sentimento vivo e lucido della solitudine contemporanea, della inquietante riduzione di spessore umano che circostanze di questi nostri anni agitati vengono sempre più inducendo in noi. Si tratta di un giudizio dolente, partecipato, in cui s'avverte la traccia accesa di una identificazione, di una risoluta solidarietà dell'artista nei confronti dei suoi soggetti. Ma tale solidarietà, per quanto trepidante ed avvertibile, non può giungere a scalfire il bozzolo d'alienazione che circonda i personaggi. Essi - e noi con loro - sono irrimediabilmente condannati all'inaudito destino di solitudine che ci siamo oggi costruiti intorno. Come si vede, non è certo una pittura ottimistica o lieta quella di Zito. Ma d'altra parte, ogni vera operazione di poesia - e qui siamo davvero di fronte ad una tensione poetica e ad un talento già robusti e maturi - presuppone un rapporto con la realtà di conoscenza e di scavo, senza infingimenti o intenti artificialmente consolatori. La vera poesia non traveste le cose, non le trasforma per consolarsene. Queste immagini, dunque, si intrecciano profondamente, dolorosamente, al nucleo più intimo e bruciante dell'attuale condizione umana e di questo nucleo indifeso e tremante, intendono darci una articolata, toccante, suggestiva testimonianza. E non è che sia una testimonianza nutrita solo di sentimenti in qualche modo languidi, di nostalgie indefinite per un'altra condizione. Non v'è nulla, in effetti, di "sentimentale" in questi sentimenti. Si tratta di una persuasione razionale; si tratta dell'acuto manifestarsi di un bisogno e di una insoddisfazione concretissimi, sanguigni. Di un sentimento "laico", insomma, che è poi il motore della volontà per un possibile cambiamento: il motore della voglia, del desiderio di futuro differente in un mondo che abbia di nuovo posto per gli uomini. Il merito di Zito - e la ragione, anche, di queste righe - è proprio quello di aver tradotto nelle opere il carico di tali questioni, per il tramite di un linguaggio pittorico di grande impatto emotivo, persuasivo ed efficace. Abbiamo di fronte una pittura che forse non ha ancora raggiunto completamente ogni livello delle sue possibilità ma che, indubbiamente, si colloca già sul terreno di esiti attivissimi. Una pittura che, con la sua personalissima traduzione di taluni stilemi dell'iperrealismo nordamericano, visti qui come una sorta di suggestiva rivisitazione delle sorgenti veriste di una certa nostra cultura, e giunta oggi a distillare un rapporto singolare tra l'immagine dipinta e la memoria dell'obiettivo fotografico. Il taglio, la composizione, la stessa monocromaticità sono, infatti, spesso, di evidente derivazione fitografica. Ci riportano a quelle abitudini alla visione ed alla letteratura delle immagini che abbiamo ormai acquisito dalla nostra civiltà fatta di messaggi visivi e di fotoriproduzioni. Ma il ricorso a questo "comune senso del vedere" Zito lo pratica armato di una consapevolezza critica, acuta e pungente direi costruttiva o, meglio, ricostruttiva. È una coscienza puntuale dei meccanismi significanti e delle tecniche percettive - che tra l'altro l'autore conosce a fondo per le sue attività nel settore grafico e pubblicitario - impiegata qui per rafforzare l'efficienza poetica ed emozionale delle tele. Insomma, Zito lavora alla confluenza di stimoli e riferimenti diversi, in un punto d'incandescenza da cui le immagini che egli costruisce sgorgano tese e pregnanti, apparentemente consuete e "neutrali" e, invece, cosi cariche di sentimento, di giudizio: cosi dense di appassionata, stimolante partecipazione esistenziale.

 

 

 

 

 

 

Interventi critici:

 

 

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